Turismo e Ristorazione


  1. La Cucina
  2. U Tridde
  3. L'orecchietta
  4. A Ciallèdde.
  5. Gnumerèdde Suffuchète
  6. Macco con verdure
  7. Legumi e altro

Foto di pomodori, formaggio, friselle e taralli locali

La Cucina

La cucina tradizionale locorotondese è chiaramente improntata ai sani principi dell'antichissima cucina mediterranea. Tutto ciò che ci resta della tradizione gastronomica locorotondese appartiene alla cucina popolare e contadina che, tutto sommato, ha sempre rappresentando la stragrande maggioranza della culinaria locale; la pingue cucina padronale, riservata a pochi, ci riguarda assai relativamente perchè poco interessante ed accomunata alla realtà gastronomica nazionale.
In genere, il mangiare contadino, seguiva regole severe ed essenziali dettate dalla dura realtà sociale, nelle quali versavano le classi meno abbienti. La conoscenza di alcuni ingredienti base, ci permetterà di apprendere alcune ricette della cucina locale. Il grano è il primo di questi ingredienti.

 
Foto di alcune spighe di grano

L'ampio utilizzo del grano, nelle varietà tenere e dure, è ampiamente accertata nella cucina paesana, sia nel confezionamento di paste alimentari casalinghe, sia nella preparazione di pane casereccio e di squisite focacce e sia direttamente come nell'antica ricetta detta: U Rijène Spugghiète. Con la farina di grano tenero viene preparato il pane e con la pasta del pane le ottime friselle, le fragranti focacce (a jarie de furne nella versione pomodoro, olio ed origano ed in quella con sale grosso ed origano) con l'aggiunta di patate lesse si preparano focacce ripiene alla cipolla porraia (spunzèle).

 
Foto di taralli e friselle

Sempre con la farina di grano tenero, la tradizione ci tramanda i dolci delle grandi festività: i ficazze fracete (fagottini di pasta, ripieni di marmellata di cotogne ed uva, cotti al forno) i tarallini bolliti ed i grossi taralli pasqualini alle uova avvolti da dolcissimo giulebbe (scehppc), le croccanti incartellate e le soffici pettole cosparse di miele o di profumato sapa (mirecuitte) usato già dai latini mescolato a neve fresca. Una curiosità: per la gioia dei più piccoli in occasione della Pasqua veniva preparato con la pasta dei taralli alle uova un dolce, a ciambella intrecciata, nel quale venivano inseriti una o più uova fresche quindi cotte al forno e ricoperto di giulebbe e granella multicolore, il cosidetto curruculu, dall'etimo oscuro.
Nel confezionamento di paste alimentari casalinghe vengono tuttora usate tre tipi di farina: la semola di grano duro, la farina integrale ('u rîusse) e farina di grano tenero in aggiunta alle altre. Le paste comunemente usate sono: le tagliatelle (a sagne) gustate con ragù o con il sugo di baccalà o con i ceci; i cecolini (frecidde) cucinati per lo più con i legumi; il particolarissimo tridde, tipico del sud barese.

 
 
torna all'indice.
 
Foto del Triddo: pasta casalinga sostanziosa e delicata

U TRIDDE, caso raro nella gastronomia locale, sembra appartenere alla opulenta cucina borghese di qualche tempo fa, almeno per due ottime ragioni: la ricchezza degli ingredienti e le particolari ricorrenze nella quale la pietanza veniva preparata.
Il Triddo, altrimenti detto Maltrito è una pasta casalinga frutto di una preparazione lunga e meticolosa. Con della semola di grano duro si impastano alcune uova intere, e alcune generose cucchiaiate di pecorino locale (per chi non lo gradisce, parmigiano) grattugiato, si aggiunge una copiosa manciata di prezzemolo tritato finemente, sale quanto occorre. La pasta va lavorata lentamente, senza aggiungere acqua e dovrebbe risultare morbida ma consistente, quindi con un jalanère (specie di matterello) tirate una sottile e porosa sfoglia. Lasciata ad asciugare per qualche tempo, con molta pazienza si staccano dalla sfoglia minuscoli e difformi pezzettini che verranno fatti asciugare un altro po' di tempo e quindi cucinati normalmente, infine conditi con del buon brodo di tacchina caldo e spolverati con del formaggio grattugiato.
In passato, questa singolare pietanza, veniva consumata in determinate occasioni; tristi, allegre, sacre: il Natale, la Pasqua ma specialmente, secondo le testimonianze dei più anziani, il triddo, per la sua sostanziosa delicatezza, era particolarmente indicato per il quinzo (dal latino conso, consolatio: il frugale pasto offerto da amici o conoscenti agli affranti parenti del defunto). Ma vi erano anche occasioni allegre per preparare il tríddo: certa sembra essere l'antica usanza di offrire alla puerpera, dopo un recente e felice parto, un piatto della squisita e delicata pietanza condita però con il brodo di due colombi donati generosamente dalla madrina del nascituro
Ed infine le orecchiette.

 
 
torna all'indice.
 
Foto delle famose orecchiette

L'ORECCHIETTA appartiene alla storia della cucina pugliese, è una pasta fresca preparata nell'ambito familiare, anche se da qualche tempo viene prodotta industrialmente, con dubbi risultati. Per la forma si distinguono in orecchietta (réccbietèdde) propriamente detta a mo' di cupoletta graziosa ed efficace; infatti la superficie convessa, esterna e ruvida, assorbe gli umori ed i sottili sapori dei vari sughi e condimenti; la parte concava più liscia accoglie le parti più solide e non assimilabili dalla pasta; ecco perché le massaie appena fanno una orecchietta, che inizialmente ha la parte concava ruvida, s'affrettano a rivoltarla con la semplice pressione del pollice. Si prepara con semola di grano duro, acqua e sale. Gradisce quasi tutti i sughi e i condimenti: al pomodoro fresco, alla crudaiola, alla ricotta, al ragù d'agnellone, al ragù di coniglio, al ragù di braciole di cavallo.
Ma le vere antenate delle orecchiette sono le popolari chiancarelle (strascenète) perché richiamano con la loro forma ovale schiacciata le chianche, ovvero le lastre della copertura dei trulli, dette nel vicino brindisino staccje o staccjódde. Più grandi e più schiacciate delle orecchiette, vengono preparate con farina di grano tenero (in parte) oppure nella originaria versione con farina integrale (riusse); non avendo la caratteristica farina a cupoletta, la chiancarella grazie alla particolare porosità della pasta privilegia determinati condimenti: cime di rape (broccoletti), pomodoro e cacioricotta, ricotta e ricotta forte (ricotta askuante).

 
 
torna all'indice.
 

A CIALLÉDDE. E' un piatto della cucina contadina povera di altri tempi, ma il fatto d'essere nutriente, leggero e fresco lo rende estremamente attuale. Evoca profumi e sapori ormai dimenticati, si rende adatto per le serate estive. In una capiente coppa si mette dell'acqua fredda, e vi si schiacciano dei pomodori, quelli piccoli e dolci, un tenero gambo di sedano tritato, un'abbondante presa di solare origano, sale quanto basta; facoltativi sono il pepe o il peperoncino e l'aglio. Rimestare il tutto, quindi immettere nella coppa del pane casereccio raffermo e precedentemente spezzettato e nuovamente rimestare lentamente affinché il pane possa assorbire l'intruglio saporoso nel quale verseremo per ultimo una sostanziosa quantità di olio extravergine d'oliva, ovvia-mente crudo.
Non resta che mescolare ancora un po' e... buon appetito!

 
torna all'indice.
 
Foto della trippa dalla quale si ricavano gli involtini

GNUMERÈDDE SUFFUCHÈTE. Il fatto che le interiora degli animali fossero una prelibatezza culinaria non dovrebbe far storcere il naso agli increduli; infatti è ben noto, sin dall'antichità classica, quanto i nostri cugini greci amassero le frattaglie degli animali; per questo quando immolavano le vittime sacrificali (bovini ed ovini) ai loro dei, appena sventrata la tenera bestia, arrostivano le ancora fumanti visceri sui carboni ardenti consumandole avidamente, mentre ironia della sorte, lasciavano bruciare tutto il resto della carcassa.
I gnumerèdde suffuchete si preparano con trippa, ed interiora di agnello adulto (agnellone), ridotte in piccole porzioni avvolte in un riquadro di trippa e legate a mo' di gomitolo da un segmento di budella (difatti gnumeredde significa appunto gomitolo, involtino); all'interno si inseriscono alcune foglie di prezzemolo.
Oggi gli involtini non si preparano più fra le pareti domestiche, ma si possono acquistare nelle molteplici macellerie del paese, puliti e preparati a regola d'arte; ovviamente prenotandoli con buon anticipo, data l'enorme richiesta.

 
foto della pignata in creta

L'originaria ricetta contadina prevede, quale recipiente di cottura, una capiente pignata in creta dove verranno messe a dimora diverse grosse cipolle tagliate a fette (in quantità pari a quella dei gnemeredde), e quindi, i gnumeredde con l'aggiunta di scaglie di pecorino, qualche pomodoro, sale ed un pizzico di peperoncino, poi ancora cipolle a coprire fino al bordo.
Due importantissimi accorgimenti: il primo mettere la pignata nel cammino ad una certa distanza dal fuoco in modo che possa sobbollire lentamente; il secondo coprire la pignata con una ciotola di acqua, che di tanto in tanto verrà adeguatamente rabbocccata.
La funzione della ciotola piena d'acqua è quella di far raffreddare il vapore che naturalmente si crea durante la cottura, e di farlo ricadere sotto forma d'acqua sulla stessa pietanza. Se tutto questo viene svolto a puntino non serviranno altri liquidi, se non quelli sprigionati naturalmente dagli ingredienti, si gusteranno, quindi, degli ottimi gnumerèdde suffuchète, soffocati, è ovvio dalle cipolle.

 
 
torna all'indice.
 
Foto di un piatto di fave con cicorie

MACCO CON VERDURE. Per questo piatto è necessaria una sia pur breve introduzione che ci spieghi l'importanza sociale di questa semplice ed antichissima pietanza. Pare che fosse già nota nel IV-III millennio a.C. in Egitto e che già allora venisse consumata con le verdure; sicurissima è la presenza
in Grecia. attestata nella mitologia, con Ercole (si dice che ne abbia fatto largo uso durante le celebri dodici fatiche) ed anche da "Teseo", che di ritorno da Creta, in mancanza di cibo si sfamò con le fave e le residue verdure.
Avvenimento questo in seguito celebrato nel settimo giorno del mese di Pyanepsione (fine ottobre) che prendeva il nome dalle fave, perchè durante le feste (Pyanòpsie) venivano trangugiate enormi quantità di fave cotte con verdure.
Attualmente il piatto viene chiamato purea di fave bianche, o semplicemente fave bianche, fino a qualche anno fa si usava chiamarlo incipriata (da ingraminata = cioè con verdure) ma il suo vero remoto nome (d'origine tardo latina) ed a noi poco noto è macco con verdure, a riprova di ciò si ricorda che una delle tante contrade del paese porta il significativo nome di Macco Macco, certamente non estraneo a tale faccenda.

 
Foto della cicoriella

Questo vetusto e celebre piatto di cui sono notorie le innumerevoli virtù salutari ed alimentari soprattutto con le erbe spontanee, viene preparato mettendo in una pignata di creta una buona qualità di fave cottoie, sgusciate e tenute a bagno sin dalla sera precedente; viene aggiunta acqua fino a completa copertura quindi con adeguato coperchio si mette a cuocere nel camino a fuoco lento (o fuoco medio sul fornello).
Si avrà cura di tanto in tanto d'asportare la schiuma e le impurità di superficie, salare verso fine cottura. A questo punto, le fave ormai ridotte ad una informa poltiglia vengano ammaccate vigorosamente con un robusto cucchiaio di legno irrorandole con una generosa dose di olio extravergine di oliva fino a farle diventare una cremosa purea.
La pietanza già così è eccellente però per il suo naturale completamento necessita che sia accompagnata da alcune verdure spontanee, tipiche di queste zone, prima fra tutte la cicoriella, la cicerbita, il tarassaco (Bonefogghie), ed altre che vanno lessate in acqua salata e condite con purissimo olio d'oliva ed adagiate accanto alla purea di fave. Vanno così consumate accompagnate anche da altri piatti: insalate di cipolle e rucola, peperoni fritti, orobanche lesse, 'a spórchje, (Orobanche crenate) melanzane fritte ed anche uva. Le fave non consumate, vanno poi scaldate in padella e prendono il nome di fave rosse.

 
 
torna all'indice.
 
Foto di un piatto di fave con cicorie

LEGUMI E ALTRO. Poi ci sono fagioli e ceci, mangiati da soli o con le tagliatelle casarecce (crusciole); non scordiamo i piselli e le lenticchie e le ormai dimenticate doliche. Ortaggi a bizeffe: peperoni, melanzane e zucchine cucinati in mille modi; ripieni, al forno e fritti. Poi i pomodori soprattutto quelli piccoli e sapidissimi che esaltano le cialledde o le friselle, da non dimenticare i teneri carciofi. Una menzione a parte meritano le verdure eduli, spontanee: le cicorielle selvatiche, salutari e deliziose; o la tipica varietà pugliese di lampascioni (Muscari Racemosum) dal gusto amarognolo gustose da soli o come contorno. Cosa dire della parassita orobanche (sporchje) che l'ingegno contadino ha trasformato da nemica delle fave ad amica della tavola; è una meraviglia lessa con olio, aglio e mentuccia. Un'autentica delizia del palato rappresenta l'asparago selvatico, che spontaneo cresce nei nostri boschi; sia come frittata sia come ingrediente nel risotto dal delicatissimo sapore.

 
Foto della cipolla

Non scordiamo un umile ortaggio, la cipolla porraia indispensabile nelle focacce ripiene, nelle insalate crude o nelle saporitissime frittate, magari un pò pesantucce... Per le calde giornate canicolari si consigliano rinfrescanti e salutari insalate a base di portulacchia (Portulaca olearacea) o di rucola (Erilca satina) dalle accertate virtù officinali.
La produzione lattiero-casearia si è sempre mantenuta a livello artigianale, oltre le rinomate specialità murgesi come le mozzarelle, i fiordilatte, i caciocavalli e le scamorze dobbiamo annoverare quelle tipiche come la ricotta ed il cacio pecorino, soprattutto il cacioricotta (ottimo quello di latte caprino), formaggio fresco a grana tenera consumato nel periodo estivo, usato nel binomio inscindibile pomodoro fresco e basilico, e la ricotta forte, detta ricotta asckuante, ottenuta da uno speciale pro-cesso fermentativo che la rende piccante addolcita dall'aggiunta d'olio d'oliva; il suo uso è superlativo, spalmato sul pane abbrustolito, nei panzerotti o aggiunto al sugo per condire le strascinate integrali.

 
Foto della cipolla

Una importantissima funzione sociale ed economica ha svolto in passato la grande produzione casalinga di fichi secchi. Era interessante, fino a qualche decennio or sono, vedere esposti al caldo sole di agosto e di settembre numerosi cestoni di fichi tagliati per metà, sulle lamie e sui trulli nelle campagne od addirittura sulle cummerse paesane.
Ma dagli anziani apprendiamo che ancor più lontano nel tempo (quando di fichi secchi si riempivano robusti capasoni olezzanti d'alloro) con qualche manciata di fichi secchi, un pezzo di pane e pochi pomodori, generazioni di manovali, di zoccatori, di braccianti si sono sfamati per giorni interi. Per molti anni, i fichi secchi sono stati la croccante delizia dei bambini; una volta tagliati e seccati, i fichi venivano fatti combaciare due a due dopo averli farciti internamente con mandorle o gheriglio di noce, quindi passati in forno e consumati nelle grandi festività. Dolci, oltre quelli precedente-mente citati non ve ne sono, una menzione merita però la copeta o cupiéte torrone caratteristico preparato in occasione di Natale e della Pasqua, con mandorle tostate, zucchero caramellato o miele in forma di ciambella guarnito con gra nella di zucchero colorato.

 
Foto di un cesto pieno d'uva

Sulle bevande il vino bianco sembra essere la bevanda locale prediletta anche perchè in zona raggiunge livelli qualitativi di eccellenza; a tale proposito assai gratificante risulta essere il delizioso connubio fra l'ottimo vino bianco fresco con le profumate percoche locali; mondate e tagliate a piccoli tocchi si tengono immerse per qualche minuto nel suddetto vino quindi ambedue consumate, dando la precedenza al frutto. E' un ottimo chiudipasto. Una rilevanza decisiva riveste l'ingrediente principe dei condimenti: l'olio extravergine d'oliva, tra i migliori di Puglia. Nella cucina locorotondese, l'olio svolge un ruolo di capitale importanza; molti sughi e le tipiche insalate non avrebbero ragione di esistere senza l'olio di oliva.

 
 
torna all'indice.