Buona parte della vita sociale del paese con le sue usanze, le tradizioni e i riti religiosi si accentrano grosso modo in due periodi: quello che riguarda i festeggiamenti del Santo Patrono di Locorotondo: san Giorgio Martire e quello del suo Santo Protettore: san Rocco.
Le manifestazioni folkloristiche, culturali e sportive coprono all'incirca l'epoca primaverile-estiva, quando l'aumentato periodo di luce e le migliorate condizioni climatiche permettono il normale svolgimento all'aperto delle manifestazioni.
Il culto di san Giorgio, morto il 23 aprile del 303 d.C., il giorno nel quale viene festeggiato anche oggi, affonda le radici in arcaici riti pagani, egizi e persiani, che implicano simbolici significati astrometereologici (Cardone).
Il martire cappadoce, ripreso dalla religione cristiana del primo Medio Evo è rappresentato come un intrepido cavaliere che trafigge l'immondo drago e salva la fanciulla; in breve tempo la sua agiografia si arricchisce di leggendari ed incredibili episodi, gli si accreditano ben tre morti e tre resurrezioni e moltissimi portentosi prodigi. Probabilmente il culto del Santo fu introdotto nelle nostra Murgia tra il VI e il VII secolo dai Longobardi, con altri santi quali san Martino e san Michele; tutti santi guerrieri (Pizzigallo). Non v'è dubbio sull'attecchimento del culto di questo santo nella zona, lo riprova l'esistenza di casali, chiese e località che portavano o portano lo stesso nome; ciò dimostra che il Santo venne subito venerato dagli abitanti del luogo e ben presto assurse al ruolo di patroni loci del nascente paese. Se antichissimi sembrano essere la devozione ed il culto per San Giorgio, altrettanto lo sono le manifestazioni legate alla festa, sappiamo, ad esempio che fin dall'inizio del `600 la fiera dedicata al santo era importantissima e durava otto giorni. Anche la cerimonia del "Dono" che ha subito qualche piccola variazione, pare attinga da un lontano passato.
IL DONO. La cerimonia del Dono si svolgeva, come testimoniano antichi documenti con riti solenni nei quali si offrivano le chiavi della città congrue somme di denaro per il sostenta-mento della stessa chiesa, oppure sostanziosi doni in natura. Seguiva la grande processione con il simulacro del Santo e le sacre reliquie con canti e benedizioni. Infine la festa vera e propria. Meno di un secolo fa la cerimonia del Dono si è arricchita di un nuovo episodio; per riappacificare due grosse fazioni sociali, i Senussi e i Beduini, rappresentati rispettiva-mente dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso e dalla Società Unione Operaia, che praticamente dividevano in due il paese e che si combattevano aspramente, non solo a paro-le; fu concesso dalle Autorità di far partecipare al corteo per la Cerimonia del Dono i due sodalizi con le proprie bandiere, previa solenne e pubblica riappacificazione, per essere magari clamorosamente disattesa già dopo pochi giorni. Le fazioni paesane, fortunatamente non esistono più, la consuetudine è giunta fino ai nostri giorni stemperata nel significato origina-rio, e come allora, inizia dinanzi alla sede della Società Operaia, il giorno precedente la festa, con il bacio delle bandiere. Quali sono i significati che il Dono a san Giorgio, ieri come oggi, simholizza? Declinando una poco probabile spiegazione rituale-propiziatoria propendiamo per una spiegazione più realistica e razionale che chiama in causa il rapporto tra comunità (l'Università) e la Chiesa (il Capitolo): la prima con il regalo in natura od in denaro intendeva garantire il suo interesse concreto alle necessità materiali della Chiesa; con il dono delle chiavi, invece, assicurava la difesa dei valori di fede e di cristianità da parte di tutta la comunità compatta; in cambio, tramite il patronato del Santo e la sua intercessione, si auspicavano i favori celesti, (benefici divini) su tutta la popolazione.
La festività del santo Protettore, per molteplici motivi, non ultimo il periodo nel quale si festeggia, (16 agosto) coinvolge a tal punto la cittadinanza, che i locorotondesi residenti all'estero, per l'occasione, fanno di tutto per ritornare al proprio paese.
Il santo di Montpellier visse la sua breve, ma intensa esistenza nell'Italia del XIV secolo, in vita non compì miracoli però acquisì straordinaria fama di prodigi contro la peste dopo la morte, peste che lo aveva colpito, in vita, e dalla quale era uscito indenne.
Ben presto il culto e la venerazione del Santo s'allargarono a macchia d'olio, in tutta Italia nei secoli successivi, e giunsero anche dalle nostre parti all'inizio del '500, forse introdotti dalla Repubblica di Venezia; di quel periodo è l'edificazione a Locorotondo di una piccola chiesetta dedicata al santo protettore dalla peste. Culto e devozione s'accrebbero per la mancata peste del 1691 e così rafforzati sono giunti sino a noi.
Il periodo ferragostano pullula, quindi, di numerosissime iniziative e manifestazioni, ne segnaleremo un paio particolarmente attraenti e significative: la prima a Diéne per le genuine ed arcaiche suggestioni che riesce ad evocare; la seconda, la Sagra Pirotecnica per l'effimera bellezza di un'arte minore.
La festa vera e propria abbraccia tre giornate: il 15, il 16 ed il 17 agosto. Tutto il paese avverte già qualche giorno prima, con l'arrivo dei forestieri e dei paesani residenti all'estero, il crescente fermento che coinvolge un pò tutta la popolazione. Il 15, ferragosto, prova generale, il paese è addobbato da una variopinta illuminazione, da tantissime bancarelle e da una folla multiforme propria delle sagre paesane.
La popolazione si prepara al giorno del Santo, che inizia nel primissimo mattino con la Diana, poi in chiesa con i solenni riti religiosi e per le strade con le lunghe processioni, fino a tarda notte con le bande musicali ed i fuochi d'artificio. Tradizionalmente il 16 agosto è il cosidetto san Rocco dei locorotondesi, una festa tutta delicata ai paesani che scorre a ritmi più blandi, più intimi.
Il ciclo festivo si conclude a tavola con la caratteristica scorpacciata di gnumerèdde rosse ed agnellone al fornello, una gustosa specialità locorotondese.
Un indubbio fascino esercita questa singolare manifestazione del folklore locale. Nelle primissime ore di giorno 16, giorno dedicato a san Rocco, alcuni componenti della locale banda musicale, un tamburo e qualche clarino intonano, percorrendo le vie dell'abitato, una dolcissima nenia, dai ritmi cantilenanti, pregna di lievi ed ammalianti sonorità mediterranee. Durante il percorso il piccolo corteo s'accresce rapidamente con un codazzo vociante di curiosi mattinieri. La gran parte della gente, sprofondata nel proprio letto, appesantita dalla stanchezza, avverte nel dormiveglia il soave e delicato richiamo musicale e tenta di guadagnare una finestra od un balcone, però quando lo fa è già troppo tardi; la Diana è sparita con tutta la rumorosa baraonda. In origine la Diana era un motivetto musicale adibito alla sveglia dei soldati; ecl è forse seguendo questa falsa riga che un ignoto musicante locorotondese del secolo scorso (Donato Fumarola o Vincenzo Calella) compose questo "andante sostenuto" desideroso che i propri concittadini principiassero con solerzia e buonumore il giorno dedicato al santo Protettore. Se questo sia stato il suo vero scopo, c'è riuscito in pieno.
Nella notte fra il sedici ed il diciassette agosto, si svolge la gara pirotecnica assai attesa dai locorotondesi e dalle migliaia di entusiasti spettatori che ogni anno accorrono da ogni parte.
La gara, l'incruenta sparatoria, s'ingaggia in genere fra tre o quattro rinomati fuochisti, nomi di grido dell'arte pirotecnica meridionale che si sfidano all'ultima calcasse per ricevere sì il premio, ma soprattutto il fragoroso e gratificante applauso che l'enorme folla tributa calorosamente al vincitore.
Quando nella cassa armonica, la banda musicale conclude intonando le ultime note delle immortali arie operistiche, tutta la gente, ovunque si trovi, come attratta da un irresistibile richiamo, con passo svelto si porta in via Nardelli (Lungomare) e mentre nel paese si smorzano le luminarie, nell'aria della notte rintronano i primi botti di richiamo.
La Valle d'tria è il suggestivo sfondo per questo spettacolo da non perdere, anche se il sonno e la stanchezza si fanno sentire; una gradevole brezza notturna rinfresca e rinfranca la fiumana di gente che ormai ha preso posto.
Negli ultimi anni, il forte afflusso di persone forestiere ha finito per rendere inadeguato la pur lunga via Nardelli, ma il previdente troverà opportunamente posto nei vialetti adeguatamente approntati che tagliano obliquamente il pendio della collina fino a raggiungere la chiesetta di San' Anna e quindi via Martina Franca.
La soddisfazione per lo spettacolo concilierà il sonno ristoratore. L'indomani, però, troverà i più esperti a discutere sulla musicalità degli spari o sulla cromaticità di alcune rose.